giovedì 30 luglio 1998

Limosano: monasteri, cenobi e badie altomedioevali

L'emergenza insediamentale di maggiore preminenza nell'ambito territoriale della media valle del Biferno è senza alcun dubbio rappresenata, in epoca alto-medioevale, dalla civitas (= centro demico in cui si esercita tanto il potere civile che, da un vescovo, quello religioso) di MUSANE (Limosano). Così essa, che nel tempo ha mantenuto sul territorio il ruolo già esercitato dalla sannita Ti-phernum e successivamente dal municipium romano di Fagifulae, è durante l'altomedioevo contemporaneamente sede sia del gastaldato biffernensis (è in questo momento della storia che si ha la trasformazione dell'etimo Ti-phernum in Bi-fernum) che della diocesi tifernate prima e, poi, musanense.
Intorno e, comunque, nell'area riferibile all'influenza di tale entità, che nel XII secolo arriva a contare sino a 5000 abitanti, esistono diverse strutture monastico-curtensi, che per lunghi secoli hanno svolto, oltre a quelle schiettamente religiose, significative funzioni economiche e sociali. Caratteristica assai importante di quei complessi cenobitico-monastico-badiali, assai più grandi di quanto si riesca ora ad immaginare e frequentemente organizzati nei pressi delle antiche villae a conduzione latifondistica, era che situavano a breve distanza dai tracciati viari e, soprattutto, dalle risorse idriche.
Dominavano sul territorio del ca-Sale di Castelluccio i tre complessi badiali di S. Maria, di S. Benedetto e di S. Pietro posto quest'ultimo alle 'Lame di S. Pietro' appunto. Situati nella Maccla Bona, essi, la cui fondazione va collocata nella seconda metà, se non prima, del VII secolo o, al più tardi, nei primi anni del successivo, erano, tutti dell'ordine benedettino, tra loro collegati e, così come lascia trasparire l'espressione "curtem S. Marie in Sala, Sancti Benedicti Piczoli ibidem" di una Bolla di Papa Anastasio IV (1153-1154), costituivano un polo economico-produttivo notevole e, quel che più conta, di lunga durata. All'inizio di quel periodo di profondi mutamenti politici, ma non solo, che fu il XI secolo e dopo che (marzo 1012) la Chiesa di Sancto Johanne et Paulo de Lemosano era stata offerta (oblata) a Montecassino, anche i tre monasteri passarono nella giurisdizione cassinese. Sono, infatti, del giugno 1019 sia la oblatio Amiconis presbyteri de Sancta Maria in Lumesano loco Maccla bona che la oblatio Richardi presbyteri de Sancto Petro ibidem ed è del marzo 1020 la oblatio Berardi presbyteri et Amiconis presbyterorum de Sancto Benedicto de Lumesano; e tali atti sembra confermino quanto già avvenuto nel settembre del 972. Sull'importanza di S. Pietro, forse il complesso monastico principale, riferiscono le Rationes Decimarum del 1308-1310, quando la "Ecclesia S. Petri de Sala solvit TAR III (la Chiesa di S. Pietro paga 3 tarì)". E, mentre di S. Maria e di S. Benedetto nulla rimane al presente, di S. Pietro è ancora possibile vedere qualche pietra tra quelle scartate, davanti agli occhi chiusi di chi è pagato per sovrintendere, dai contadini della zona nella costruzione delle loro massarie.
A mezza strada tra Limosano e S. Angelo sulla omonima morgia, "loco ubi dicitur Petra majore (ma altrove si ha anche Pesclo majore)", situava il monastero di S. Illuminata. Anche per esso, probabilmente di rito greco così come anche S. Maria di Faifoli almeno sino alla fine del primo millennio, è possibile ipotizzare una data di fondazione assai antica (VI-VII secolo). Pare che, dopo una fase (X-XI secolo) in cui i costumi dei monaci avevano subito un rilassamento, vi venne introdotta la rigida osservanza della riforma di S. Brunone. Qualche anno prima del 1084, il monaco Alferio, che in tale anno viene ricompensato con la promozione a vescovo di Trivento, fraudolentemente distrugge tutti i documenti (cartas) di quel complesso monastico con l'evidente obiettivo di sottrarlo al potere di Benevento. Tanto che nel giugno del 1109 dal dominus di Limosano che in tale anno ha certamente anche un suo vescovo, da quel Tristaino della casata dei de Molisio, che, perchè mirava a rendersi autonomo da Benevento, si serve della collaborazione del vescovo di Trivento, venne effettivamente donato a Montecassino, che ne incide il nome nelle porte di bronzo del monastero (Pannello XII - Battente II). L'Abbate cassinese Giovanni Aragonio la concesse in commenda a Giovanni Fiorillo da Mercogliano prima (novembre 1471) e, dopo (agosto 1479), a Barnaba Brancia da Sorrento. Cadente più che decadente, nei primi anni del XVII secolo vi dimorava ancora un certo monacus Ercules.
Nelle immediate vicinanze di una, quella di mezzo o delli Patrisi, delle tre vie, che dall'abitato di Limosano portavano al Bosco Fiorano, e precisamente alla contrada castagna situava il complesso badiale di S. Silvestro, anch'esso posto sopra una morgia (supra unum montem lapideum... dictum Morgia di S. Silvestro). Sulla data della sua fondazione, che non pochi elementi, come, ad esempio, la vicinorietà ai siti di Ferrara e di Cascapera, fanno ritenere antichissima (VI-VII secolo), sono possibili solo ipotesi. Il monastero, dopo un iniziale periodo di rito greco, passò per costituirne un avamposto strategico nel territorio del medio Biferno alla diretta dipendenza di S. Sofia di Benevento; tanto che nel Catasto Onciario (1743) ancora si legge che "il suolo dell'Abbadia di S. Silvestro di Benevento" si trova "nel suolo di S. Sofia di Benevento". Anche tale complesso monastico, il cui beneficio semplice, esistente sino ai primi anni del '900, era appetito ancora durante il XVIII secolo (anche se nel 1778 poco o nulla rimaneva sopra la Morgia, ove si dice esser stata la chiesa diruta dentro li Territorij di S. Silvestro), dovette avere una discreta rilevanza se, per le decime del 1308-1310, il "Prior S. Silvestri de Limosano solvit Tar III (il Priore di S. Silvestro di Limosano paga 3 tarì)". La Chiesa già nel 1712 era ridotto "in un Mucchio di pietre per essere demolita d'ordine dell'E.mo Sig.r Card.l Arciv.o Orsini in S. Visita dell'anno 1693".
Il fatto che di tali complessi monasteriali (ma il territorio limosanese vide in epoca medioevale anche la presenza del Monastero di S. Martino, sito forse a Pesco Martino, e della Chiesa di S. Croce nella omonima contrada al confine con S. Angelo), al presente poco o nulla rimane non autorizza i burocrati del palazzo a cancellarli e chi fa storia ad ignorarne il significato.

da "Vita Diocesana", quindicinale della diocesi di Campobasso, Anno I, n.12 del 30 luglio 1998.