martedì 15 febbraio 2000

La decadenza di Limosano: quali i motivi?

Quali le ‘vere’ motivazioni storiche che portarono alla decadenza progressiva ed allo scadimento, inesorabile ed irreversibile, di quella “Terra, olim civitas” di Limosano (già, in precedenza e nella fase intermedia, Musane), che, nella continuità di lunga durata con Tifernum e Fagifulae, le emergenze più antiche nell’ambito territoriale del medio Biferno, alcuni documenti dell’Archivio Segreto Vaticano (Benevent Civit.is & Ducatus Varia – 1132/1312) dicono contare, ancora durante il XIII secolo, una popolazione stimabile almeno intorno ai 4000 abitanti ed essere “una Terra migliore di quanto sia la Città di Trivento, la Città della Guardia(alfiera) e la Città di Larino”, oltre che “la migliore di tutta la provincia eccettuata Bojano”?

Perché quella ‘Terra’, sicuramente ‘capoluogo’ (ed alla fase conclusiva) di una unità amministrativa, dove (insieme con Bojano e, quando sarà più visibile, con Campobasso) arrivava il ‘Giustiziere di Terra di Lavoro’ in persona ad amministrare la giustizia del relativo ‘circondario’ ed era tanto ‘insignis’ da annoverare “molte persone di cultura letterati, ossia professori di logica, docenti, medici, docenti di grammatica, avvocati, notai, Giudici ed artisti”, improvvisamente, e tra i secoli XIV e XVI, si vede quasi del tutto privata della sua ‘antica’ funzione di polo di riferimento sul territorio?

Quali, di che natura e quanto gravi i ‘fatti’(o il fatto), che determinarono un ipotizzabile cambiamento di direzione nel progredire della ‘storia’ di Limosano e, più in generale, di quella dell’intero Molise?

Certo è che la ricerca ‘ufficiale’ per ‘magnificare’ l’ascesa di Campobasso, che riprese le funzioni e i compiti già di Musane (Limosano), al suo ruolo di città-capoluogo (cosa che tutti sanno essere cosa relativamente recente) e per dimostrarne l’antichità ha da sempre opportunamente (si fa per dire), ma contro ogni logica e verità, nascosto alcuni fatti ed accadimenti che interessarono l’intera area del medio Biferno. Tanto che, mentre di tutti gli altri ‘municipia’ romani dell’attuale Molise si hanno conoscenze discrete, ‘ufficialmente’ si sa nulla o tanto poco da rivelarsi tale di Fagifulae. Tanto che nulla si sa ‘ufficialmente’ della diocesi, certamente paleocristiana, di Tifernum, che, diventata in periodo alto medioevale ‘Musanense’, solo essa con la sua esistenza nell’ambito del medio Biferno ‘riesce’ a non lasciare un vuoto, che altrimenti risulterebbe inspiegabile, sul territorio. Tanto che, da ultimo, ‘ufficialmente’ nulla si sa di quei rami delle casate dei de Molisio prima e, poi, dei Monforte-Gambatesa, che vollero sempre tenere, in contemporanea a Bojano o a Campobasso, anche il feudo della “Terra olim civitas” di Limosano, che, per essere stato in epoca alto medioevale, così come Boiano (gastaldatus Bovianensis), sede di ‘gastaldato’, il gastaldatus Biffernensis, non poteva essere insediamento secondario.

Ciò premesso, va detto che nel ‘leggere’ la storia di Limosano ci si imbatte in ‘fatti’, cui risulta quantomeno difficile, se non impossibile, dare una spiegazione adeguata.

Di essi si tralasciano, per esigenza di brevità, tanto la fraudolenta distruzione (tra il 1063 ed il 1084) da parte di “Alferii Triventinatis episcopi” delle “chartas” del Monastero di S. Illuminata, il cui nome, a riprova della sua notevole importanza, figurerà poi inciso nella porta di bronzo di Montecassino e che era sito “in Pesclo (o Petra) majore”, quanto la ‘demolizione’ della Chiesa di S. Silvestro (collegata con l’omonimo Monastero, il cui “Prior solvit TAR III” per le “Rationes decimarum Ecclesiae” del 1309), posta “nelle pertinenze della Terra de Limusani, quasi un miglio distante da essa, situata nella parte settentrionale sopra una Morgia, hoggi (1712) in un Mucchio di pietre per esser Demolita d’ordine dell’E.mo Sig.re Cardinal Orsini (dal 1724 al 1730, Papa Benedetto XIII) in S. Visita dell’anno 1693”.

E si tralascia anche lo ‘spostamento’, praticato persino col ricorso alla falsificazione sistematica di fonti e documenti, della patria di Celestino V da S. Angelo Limosano ad Isernia, tra il XVI ed il XVII secolo, per ‘ordine’ della Superiore Autorità Ecclesiastica finalizzato ad una ‘rifundatio’ della Religione dei Celestini dopo che vennero accertati (e lo dimostrerebbero gli arresti e le detenzioni, nella seconda metà del ‘500, di Abati e di Priori dei Monasteri dell’Ordine nelle aree di Trivento e di Limosano) gravi episodi di rilassatezza nella vita dei monaci di tale Congregazione religiosa.

Ma il ‘fatto’, singolarissimo e che propone allo storico dubbi e difficoltà, riguarda la impossibilità a ricostruire la ‘vera’ sede della “maior ecclesia” della Diocesi di Limosano. Che la “Chiesa Arcipretale Matrice, sotto il titolo, e Vocabolo di Santa Maria Maggiore in Cielo Assunta di questa antica Città”, sia stata l’antica (o la più antica) Cattedrale, oltre alle fonti più classiche ed alla più consolidata e documentata tradizione, lo dicono i cennati documenti dell’Archivio Vaticano, quando riferiscono che: 1) “è tuttora chiamata Chiesa Vescovile e Vescovato”, 2) “ivi si trova il libro che si chiama libro pastorale”, 3) in essa vi sono “le mitre vescovili, i pastorali, l’anello, i rocchetti (arochetas), il bacolo (tipico del rito greco) e due cattedre di cui una è di legno e l’altra in pietra” e, da ultimo, “tutto il Clero della Terra di Limosano, ossia i Chierici di Santo Stefano, di San Paolo e delle altre Cappelle di quella Terra, vanno alla Chiesa di Santa Maria specialmente nelle festività della Vergine ad officiare… ed il popolo della predetta Terra va a tale Chiesa ad ascoltare gli uffici divini e la onora come la Chiesa maggiore e quella Vescovile”.

Ma, se, come sembra, ciò è incontestabilmente vero, che valore deve riferirsi a quella “antica pietra quadra di piano, ab antiquo lavorata”, posta, ancora nel 1743 (ma poi andata distrutta), “sopra l’arcotrave di detta (della Chiesa di S. Stefano) antica Porta, in mezzo, e sotto l’arco di pietra, infra detto arco, ed arcotrave, lavorato detto arco, come sopra, con cornicioni e fogliami…, con iscrizzione antica intagliata, e scolpita à scalpello, e puntillo, in mezzo della quale, vi è un fogliame à guisa d’una rosa”? Essa, riportando, tra l’altro, che “HUIUS ECC: EPISCOPALIS AEDIF: URBIS”, dava una indubitabile prova del fatto che anche la Chiesa di S. Stefano dovette essere Cattedrale. Oltre a tale testimonianza, alcune “riviste” e ricerche fatte (o ordinate) dall’Orsini durante il XVIII secolo tendevano a dimostrare essere stata (o essere ancora in quel periodo?) anche tale Chiesa la Cattedrale della Diocesi limosanese.

E come, da ultimo, spiegare il contenuto di quella “fides publica”, del 19 Aprile 1755, con la quale “In publico Testimonio costituito il Mag.co Domenico Amoroso… di sua età di anni novantatre in circa, come ha detto, e dal suo aspetto apparisce, spontaneamente have asserito, come in tempo di sua figliolanza, e poteva allora essere da circa sedici anni (e quindi, prima del 1680), che il Convento, ora di San Francesco… non veniva abitato da Monaci, ma stava senza nessuno… ha conosciuto, e veduto in detta Chiesa, che vi erano quantità di altari per tutte le mura, le quali poi li fece levare la buon Anima del Cardinale Orsini Arcivescovo di Benevento, e soli tré ce ne fece restare, come si vedono oggi; ed in detta Chiesa, ci ha conosciuto, veduto, e toccato con le sue mani la Catedra, ò sia la Sedia dell’antico Vescovo, con la sua Cupola, e Crocetta sopra, tutta lavorata, scorniciata, intagliata, et indorata, fatta ad otto angoli, e stava sotto l’arco della Sagristia sopra la Sepoltura delli Vescovi morti, avanti al quale arco, vi era un parapetto di pietra, alto da circa tre palmi…; ma poi essendo venuti li Monaci in detto Convento, ed il primo Guardiano fù Frà Francesco Mancinelli d’Agnone…, ed arrivati questi, posero in polito la Chiesa,… […]. Ed ha soggionto che la porta, e facciata avanti della Chiesa di detto Convento, come presentemente si vede tutta di pietre lavorate fine, con cornicioni, colonnette, e lioncini dimostra essere porta di Vescovado, anzi sopra la finitora di detta porta, sopra il cornicione vi era un Angiolo grande di pietre benfatto, che faceva cima, con un incensiero di pietra in mano, e lo detto primo Guardiano Mancinelli lo fece levare,… “?

Davanti (o dietro?) ai difficili problemi [leggasi: a) la distruzione delle ‘chartas’ da parte di Alferio, che verrà ricompensato con la carica di Vescovo di Trivento; b) lo spostamento dell’identità della patria a Celestino V; c) le demolizioni, coeve, da parte del Cardinal Orsini e del Padre Mancinelli di Agnone] posti dai documenti appena accennati, sembra esservi di certo una cosa sola. E, cioè, che quando si pone la lente di ingrandimento della ricerca sui “fatti” della storia limosanese, questi non è mai possibile metterli a fuoco.

da Provincia Notizie, organo di stampa della Provincia di Campobasso, febbraio 2000, [seguito dell’articolo “Da Tifernum a Limosano: …”]

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